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LE CURE

LE TERAPIE

Oggi i medici propongono terapie contro l'infezione da HIV al 90% delle persone sieropositive sulla base dei cosiddetti "valori" dei linfociti T4 e della carica virale (il numero di particelle di HIV nel sangue, che misura la velocità di replicazione dell'infezione). La terapia è in genere composta da un cocktail di tre farmaci antiretrovirali, e permette di ridurre la carica virale e migliorare la situazione immunitaria. Il medico potrà spiegare meglio quali sono le varie possibilità terapeutiche, i possibili effetti collaterali, le modalità di assunzione dei farmaci. Esistono anche trattamenti chiamati profilassi. Vengono prescritti quanto i T4 sono inferiori a 200 o quando si sono già manifestate infezioni opportunistiche.
Per saperne di più

Chiama il Telefono Verde AIDS al numero 800-861061 il servizio è attivo dal lunedì al venerdì dalle ore 13.00 alle ore 18.00- telefonare è completamente gratuito da qualunque parte d'Italia. Il Tav garantisce l'anonimato.

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NUOVE STRATEGIE TERAPEUTICHE

I prossimi venti anni di AIDS

Nei paesi occidentali gli innegabili successi terapeutici ottenuti contro l'Aids sono in gran parte dovuti alla straordinaria rapidità con cui l'industria farmaceutica mondiale ha messo a disposizione nuovi farmaci dotati di potente attività antivirale. Ciò è stato possibile grazie al tumultuoso sviluppo sulle conoscenze sul virus che i centri di ricerca hanno sviluppato. Occorre tuttavia tenere ben presente che le attuali strategie terapeutiche non consentono la guarigione dall'infezione, ma soltanto un ritardo della malattia. Inoltre l'uso prolungato dei chemioterapici antivirali porta inevitabilmente alla selezione di ceppi virali farmacoresistenti e allo sviluppo di fenomeni di tossicità nei pazienti.

E' quindi essenziale che si individuino nuove strategie terapeutiche, risultato che può essere raggiunto con i progressi della Ricerca e la immissione di nuovi farmaci con meccanismi di azione diversi da quelli di cui oggi disponiamo. E' quindi essenziale non abbassare gli investimenti sulla ricerca né minare oltre il ragionevole i profitti dell'industria farmaceutica. Le nuove strategie terapeutiche attualmente allo studio consistono:
  • nell'iniziare il trattamento in modo aggressivo da far seguire da un regime più blando di mantenimento
  • nell'alternanza tra cicli di terapia e cicli di riposo
  • nella associazione tra terapia antivirale e terapia immunomodulante

I risultati sono stati finora interlocutori, ma esistono le basi concettuali per sperare in consistenti vantaggi. Altre promesse possono venire dalle strategie di riduzione dei cosiddetti "santuari" del virus, e cioè da aree di infezione non raggiungibili né dai farmaci, né dai meccanismi immunitari e costituite in gran parte da cellule infettate latentemente.

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IL VACCINO ITALIANO ANTI-HIV/AIDS

Al via la sperimentazione clinica di fase I del vaccino anti-HIV/AIDS basato sulla proteina Tat. L'avvio degli studi clinici è stato autorizzato dal Ministero della Salute dopo l'espletamento di tutte le procedure richieste dalle normative italiane ed europee. La sperimentazione sull'uomo di questo vaccino, messo a punto dal Reparto Retrovirus del Laboratorio di Virologia dell'Istituto Superiore di Sanità, sarà diretta da Barbara Ensoli, e partirà in 3 centri clinici, a Roma e a Milano. L'obiettivo di questa prima fase della sperimentazione clinica è quello di dimostrare l'innocuità del vaccino nell'uomo, l'assenza cioè di effetti tossici, e di valutare la risposta immune indotta dalla vaccinazione. Verranno effettuati due protocolli di sperimentazione: uno preventivo, cioè nell'individuo sano, per il quale saranno arruolati 32 volontari non a rischio, e uno terapeutico, cioè nell'individuo infetto, per il quale saranno arruolati 56 volontari non in terapia antiretrovirale. Questa prima fase della sperimentazione prevede 6 mesi di trattamento e altri 6 di osservazione, al termine dei quali verranno resi noti dall'ISS i primi risultati. L'ISS mette a disposizione di chi intende partecipare alla sperimentazione il numero verde 800-861061, presso cui verranno fornite tutte le informazioni relative alla stessa sperimentazione e alle procedure di arruolamento.
Vaccino Tat: le caratteristiche

Il vaccino studiato dal gruppo del Laboratorio di Virologia dell'Istituto Superiore di Sanità diretto dalla Dott.ssa Barbara Ensoli è basato sull'utilizzazione della proteina Tat, una proteina regolatoria dell'HIV-1, prodotta subito dopo l'entrata del virus nella cellula, e fondamentale per la replicazione del virus e per la progressione verso la malattia. Studi sperimentali nel modello animale hanno dimostrato che la somministrazione di questa proteina non ha effetti tossici e induce una risposta immunitaria completa, cioè sia anticorpale che cellulare, in grado di bloccare la replicazione del virus e di conseguenza lo sviluppo della malattia.

Il ruolo chiave della proteina Tat è stato confermato attraverso il monitoraggio di oltre cento pazienti sieropositivi, in cui è stato osservato che la piccola percentuale di coloro i quali avevano sviluppato naturalmente una risposta immune contro la proteina Tat tendeva a rimanere in uno stadio asintomatico o a progredire più lentamente nell'evoluzione della malattia. Il vaccino basato sulla Tat è sostanzialmente diverso dagli altri vaccini anti-HIV. Infatti, la stragrande maggioranza degli altri vaccini sperimentati, e risultati purtroppo inefficaci, ha avuto come bersaglio le proteine strutturali che costituiscono l'involucro esterno del virus, con lo scopo di indurre un'immunità sterilizzante, cioè in grado di evitare l'infezione. Il nuovo vaccino invece non previene l'infezione dei linfociti T (cellule bersaglio dell'HIV), ma è in grado di controllare precocemente la replicazione del virus con il duplice risultato di contenere la replicazione virale e bloccare la progressione verso la malattia. La riduzione così ottenuta della carica virale permetterebbe inoltre di diminuire la trasmissione a livello di popolazione. Da notare che, al contrario dei vaccini basati sulle proteine strutturali, il vaccino Tat non induce sieropositività, cioè gli individui vaccinati non risulteranno positivi ai test comunemente usati per la diagnostica dell'infezione da HIV.

Un'altra caratteristica importante di questo vaccino è che la proteina Tat è conservata, cioè essenzialmente la stessa, nei differenti sottotipi virali presenti nelle diverse zone del mondo, e pertanto può funzionare in tutte le popolazioni. Ciò costituisce un considerevole vantaggio rispetto agli altri approcci vaccinali, che sono fortemente limitati dall'estrema variabilità delle proteine dell'involucro virale. Ciò significa, dunque, che il vaccino basato sulla proteina Tat può essere somministrato sia nei Paesi sviluppati che in quelli in via di sviluppo (Africa, Asia), dove è in atto l'emergenza epidemica più importante e dove un vaccino in grado di controllare la replicazione del virus e quindi la trasmissione, può rappresentare una risposta efficace di sanità pubblica a un problema che in quei Paesi assume dimensioni drammatiche.
I PASSI DELLA SPERIMENTAZIONE DEL VACCINO TAT

Lo studio di coorte
La risposta immune contro la proteina Tat è davvero in grado di proteggere dall'HIV, controllando l'infezione e la progressione verso l'AIDS? Per rispondere a questa domanda, cruciale per lo sviluppo del vaccino in questione, i ricercatori dell'ISS hanno condotto vari studi tra cui uno studio di coorte su oltre cento pazienti sieropositivi, di cui era nota tutta la storia clinica: dalla data di sieroconversione al momento della progressione verso l'AIDS. Il risultato è stato incoraggiante, in quanto è stato dimostrato che negli individui in cui, a seguito dell'infezione virale si era sviluppata una risposta immune alla proteina, si osservava un rischio di progressione della malattia molto minore rispetto agli individui privi di essa. Ciò ha indicato che la presenza di anticorpi contro la proteina Tat rappresenta un marcatore di controllo della malattia e ha suggerito che un vaccino basato sulla Tat può essere in grado di controllare l'infezione e bloccare la progressione verso la malattia.
Gli studi preclinici

Si è quindi passati alla fase preclinica, ovvero agli studi sul modello animale allo scopo di poter verificare l'innocuità, l'immunogenicità e l'efficacia del vaccino, ossia tutte quelle valutazioni necessarie all'avvio di una sperimentazione sull'essere umano. I ricercatori hanno innanzitutto appurato nei roditori (topi e porcellini d'India) che la somministrazione del prodotto non inducesse effetti tossici. A questo riguardo sono state effettuate valutazioni sia di tossicità acuta che di tossicità cronica (dopo una singola somministrazione e dopo somministrazioni ripetute del vaccino), utilizzando differenti concentrazioni e vie di somministrazione. Il vaccino è risultato innocuo su tutti i roditori utilizzati: su quelli "immuno-competenti", in grado, cioè, di reagire e di sviluppare la risposta immune, come pure, e questa è la cosa più importante, su quelli "nudi", animali particolarmente vulnerabili perché selezionati geneticamente allo scopo di ottenere un sistema immunitario gravemente compromesso o praticamente inesistente. Non sono state osservate reazioni tossiche neanche in presenza di concentrazioni della proteina molto elevate in relazione al peso dell'animale. Successivamente sono stati eseguiti, sempre sui roditori, i test di immunogenicità, per verificare cioè la capacità del vaccino di indurre in vivo la produzione di anticorpi e di cellule specifiche contro la proteina Tat. Anche in questo caso i risultati sono stati soddisfacenti. Dai roditori si è quindi passati alla scimmia, un modello animale più vicino all'uomo, sulla quale, oltre all'innocuità e all'immunogenicità, è stata testata anche l'efficacia del vaccino. Non essendo possibile infettare con il virus HIV la scimmia, i ricercatori hanno utilizzato una chimera, ovvero un virus misto, fatto da parti di HIV e parti di SIV (Simian Immunodeficiency Virus, la variante del virus che infetta le scimmie) ottenendo in questo modo un modello di studio sovrapponibile a quello umano. Le scimmie, 12 in tutto, sono state sottoposte a una serie di vaccinazioni ripetute (9-10) sia con la proteina Tat, che con il DNA codificante per la proteina, tenendo, nel frattempo, sotto controllo i parametri clinici, ematologici e biochimici. Nelle scimmie, come nei topi, il vaccino si è dimostrato innocuo e in grado di indurre una risposta immune specifica. Successivamente le scimmie vaccinate (e anche scimmie non vaccinate utilizzate come controllo) sono state infettate sperimentalmente. Cinque delle sette scimmie a cui era stato somministrato il vaccino basato sulla proteina Tat e quattro delle cinque scimmie vaccinate con il DNA codificante per la Tat sono risultate protette. Il gruppo di controllo, rappresentato da quattro scimmie non vaccinate e inoculate con le stesse concentrazioni di virus, ha garantito che il sistema fosse affidabile: tutte queste scimmie, infatti, si sono infettate e hanno progredito verso la malattia. Complessivamente, quindi, nove scimmie su 12 sono risultate protette, non hanno sviluppato la malattia e non hanno evidenziato alcun segno d'infezione attiva né in termini di viremia plasmatica né di diminuizione delle cellule CD4 (i linfociti T helper che sono il vero bersaglio dell'HIV). La presenza di DNA virale, un segno dell'avvenuto contatto con il virus, è stata rilevata solo nei primi tempi dopo l'inoculazione del virus. Le stesse scimmie sono state seguite e controllate per due anni e durante questo periodo non hanno mostrato alcun segno di replicazione virale né di malattia, e hanno mantenuto la risposta immune alla proteina Tat.
HIV, un virus particolare

Il virus dell'HIV è un retrovirus, il suo materiale genetico cioè è costituito da RNA, anziché da DNA; nell'HIV, quindi, le informazioni genetiche percorrono un cammino "inverso": l'RNA viene quindi copiato in DNA attraverso l'enzima detto trascrittasi inversa. Questo fa sì che il virus per infettare una cellula debba non solo entrarvi come avviene per altri virus, ma debba anche, sfruttando tutti i processi di sintesi biochimica propri della cellula, produrre una copia di DNA, detto DNA provirale. E' in questa forma che il virus si integra nella cellula ospite, infettandola. Nelle scimmie, la presenza iniziale di questo DNA provirale ha confermato che il virus fosse entrato in contatto con le cellule del sangue e ha dimostrato, come previsto, che il vaccino non aveva impedito l'infezione, bensì aveva controllato la replicazione virale iniziale bloccandone la diffusione nell'organismo, dando luogo a una cosiddetta "infezione abortiva", cioè incapace di dare malattia. E poiché la trasmissione del virus dall'individuo infetto a quello sano è correlata alla quantità di virus nel sangue e negli altri liquidi biologici (la "carica virale") dell'individuo infettato, ne segue che la trasmissione dell'infezione diventi molto più difficile.
(dati aggiornati novembre 2003)
 
 
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